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25.08.2007 * Reato prescritto e procedimento disciplinare: il necessario eroismo dell’Avvocato. Cassazione civile , SS.UU., sentenza 23.03.2007 n° 7103 (Antonino Ciavola - Altalex 21/06/2007)
Sezioni: CODICE DEONTOLOGICO
Sezioni: PRIMA FILA
Data di pubblicazione 25/08/2007


La sentenza Cassazione civile n. 7103/2007 contiene princìpi ormai consolidati, la cui concreta applicazione lascia però perplessi.

Un avvocato milanese è rinviato a giudizio disciplinare per aver consegnato a un pubblico ufficiale (un militare della Guardia di Finanza) una consistente somma di denaro, e per essere stato in conseguenza rinviato a giudizio in sede penale.

Sia nel processo penale che nel contemporaneo (poi sospeso) procedimento disciplinare, la questione dibattuta riguardava l’accertamento del fatto – reato, se cioè il professionista si fosse macchiato di corruzione o fosse invece vittima di concussione.

La giurisprudenza disciplinare sembra ormai concorde nell’affermare che, quando si debba accertare il fatto nel processo penale, la sospensione del procedimento disciplinare sia obbligatoria, salva poi la possibilità di valutare il fatto (una volta accertato) anche in modo difforme, poichè le norme penali e quelle disciplinari si pongono su piani diversi.

Ciò alla luce del nuovo testo dell’art. 657 cod. proc. pen. (cfr. sul punto la chiarissima Cass., sez. unite, 8 marzo 2006 n. 4893).

La vicenda processuale penale, però, nel caso in esame non ha fornito una risposta; infatti l’avvocato è stato assolto in primo grado dal delitto di corruzione “perchè il fatto non sussiste”, mentre in appello è stata dichiarata l’avvenuta prescrizione.

Anche in sede disciplinare l’avvocato è stato inizialmente ritenuto non responsabile, ma il CNF (adito dal procuratore generale) ha riformato la decisione affermando (come risulta dalla sentenza qui commentata) che la condotta dell’avvocato che consegni una somma di denaro a un pubblico ufficiale è comunque lesiva dei doveri di probità, dignità e decoro della classe forense, sia quando il fatto integri il reato di corruzione, sia quando la dazione avvenga a seguito della concussione dello stesso pubblico ufficiale.

Sulla base di questa argomentazione, il CNF ha sanzionato l’avvocato con la sospensione dall’esercizio professionale per tre mesi, senza approfondire l’accertamento del fatto; resta ignoto, quindi, se quella somma di denaro sia stata versata per corruzione o concussione.

L’avvocato si è rivolto alla Suprema Corte che ha confermato la sentenza disciplinare.

La Corte ha richiamato la sua consolidata giurisprudenza in base alla quale l’accertamento compiuto dal giudice disciplinare sul fatto e sulla sua idoneità a ledere il decoro della professione non può essere riesaminato in sede di legittimità a condizione che la motivazione sia adeguata ed esente da vizi, e con il limite della ragionevolezza.

Si tratta di principi giusti, che però nel caso di specie non sembra siano stati rispettati.

Come è noto, infatti, il criterio per distinguere la concussione dalla corruzione è quello del rapporto tra le volontà dei soggetti, che nel primo reato sono convergenti mentre nel secondo vi è una volontà costrittiva del pubblico ufficiale in danno del privato che deve sottostare alle ingiuste pretese del primo (Cass. pen., sez. VI, 19 ottobre 2001 n. 1170).

Secondo la prospettazione dei fatti offerta dall’avvocato nel caso specifico, egli sarebbe stato il soggetto passivo e quindi, in altri termini, la vittima del reato.

Le due posizioni ipotizzabili (reo di corruzione o vittima di concussione) sono state ritenute equivalenti dal CNF che ha così stabilito l’obbligo dell’avvocato di compiere atti di eroismo e di non cedere a ricatti e minacce di alcun tipo.

E’ una motivazione che certamente nobilita la professione forense, ma che sfugge ai consueti criteri di ragionevolezza anche sotto un altro profilo.

Ammesso, infatti, che la dazione di denaro concretizzi un illecito disciplinare sia nel caso di corruzione che in quello di concussione, la gradazione della pena dovrebbe essere diversa, non dimenticando la basilare distinzione tra le due fattispecie.

Sarebbe stato quindi più opportuno, ad avviso di chi scrive, cassare la sentenza del CNF e ordinare un nuovo esame, distinguendo le due ipotesi e, al limite, sanzionando l’avvocato non eroico in modo più leggero rispetto all’avvocato corruttore.

(Altalex, 21 giugno 2007. Nota di Antonino Ciavola)
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